Recenti orientamenti in tema di danno all’immagine Di Marco CATALANO, dottore commercialista

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02/12/2021

Con una recente sentenza, la nr. 368 del 2021, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, ha affermato la non punibilità del danno alla immagine nel caso in cui il pubblico dipendente si sia reso colpevole di reati che abbiano sì cagionato un danno alla p.a., ma non rientrino nel novero dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Come è noto, il danno alla immagine è una figura di origine pretoria affacciatasi alla ribalta delle cronache giudiziarie della Corte dei conti a partire da metà degli anni ’90 del secolo scorso.

Con tale figura si ricomprende il danno non patrimoniale al prestigio, all’onore, o al decoro della pubblica amministrazione che trova il suo fondamento legislativo nell’art. 97 della Cost.

Il legislatore statale, dopo aver tollerato la figura, la ha regolamentata con una disciplina contenuta in un provvedimento anticrisi, il d.l. nr. 98 del 2009 (cd. Lodo Bernardo).

Secondo la norma, il danno alla immagine poteva essere perseguito solo per i reati di cui all’art. 7 della legge nr. 97 del 2001 (la legge che regola i rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare), e il termine di prescrizione decorreva dal passaggio in giudicato della sentenza penale.

Si trattava, come si può agevolmente verificare, di una riduzione dell’ambito di operatività del danno alla immagine, circoscritto ai soli casi di cui all’art. 7 della predetta legge, che a sua volta richiamava i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

In pratica rimanevano fuori numerose ipotesi di reati che creavano un discredito dell’ente pubblico, come per esempio i reati di violenza sessuale commessi da pubblici dipendenti, sebbene la corte Costituzionale con la sentenza nr. 355 del 2010 avesse ritenuto conforme a costituzione la norma.

Se non che a ottobre del 2016 è entrato in vigore il codice di giustizia contabile il quale nelle sue disposizioni transitorie ha abrogato l’art. 7 predetto. Pertanto, alcune sezioni giurisdizionali regionali hanno ritenuto che con siffatta abrogazione si rispandesse l’originaria nozione di danno alla immagine come danno conseguenza di reati contro la pubblica amministrazione che ne cagionano una lesione del decoro o del prestigio.

A fronte di tali interpretazioni giurisprudenziali con una sentenza di inammissibilità (nr. 191 del 2019) la Corte costituzionale ha affermato che il giudice avrebbe dovuto verificare se il rinvio operato dal comma 30 ter dell’art. 17 del d.l. nr. 78 del 2009 (il lodo Bernardo che ha limitato l’ambito di operatività del danno alla immagine) all’art. 7 della legge nr. 97 del 2001 fosse fisso o mobile.

Più in particolare

4.1.– A fronte di ciò, osserva questa Corte che il giudice a quo non ha vagliato la possibilità che il dato normativo di riferimento legittimi un’interpretazione secondo cui, nonostante l’abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97 del 2001, che si riferisce ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, non rimanga privo di effetto il rinvio ad esso operato da parte dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, e non si è chiesto se si tratta di rinvio fisso o mobile. L’ordinanza, quindi, trascura di approfondire la natura del rinvio, per stabilire se è tuttora operante o se, essendo venuto meno, la norma di riferimento è oggi interamente costituita dal censurato art. 51, comma 7.

In sostanza la Corte costituzionale ha ritenuto che l’art. 7 della legge nr. 97 del 2001 (che limita il danno alla immagine soli ai delitti contro la pa) è rimasto in vita pur dopo la sua abrogazione a seguito della entrata in vigore del codice di giustizia contabile.

Questo orientamento è stato poi sposato dalle Sezioni di Appello della Corte dei conti.

Se queste sono le cose, non può sottolinearsi la schizofrenia legislativa che, se da un lato riduce l’ambito di operatività del danno alla immagine, dall’altro prevede figure specifiche dello stesso.

Ci si riferisce, innanzitutto, all’art. 1, comma 12, della legge nr. 190 del 2012 (la legge cd. Anticorruzione).

Secondo la norma in questione, infatti

In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in  giudicato,  il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del  presente  articolo risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo  30  marzo

2001,  n.165,  e  successive   modificazioni,   nonche'   sul   piano disciplinare, oltre che per il danno erariale  e  all'immagine  della pubblica  amministrazione,  salvo  che  provi   tutte   le   seguenti circostanze:

Altra figura di danno alla immagine è contemplata nel comma 3 quater dell’art. 55 quater del dlgs nr. 165 del 2001, in tema di ingiustificata assenza del dipendete dal posto di lavoro con alterazione del sistema informatico di rilevazione delle presenze.

Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L'ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

In questo caso l’intento del legislatore è stato addirittura di sanzionare oltremodo il dipendente, atteso che il danno alla immagine non poteva essere inferiore a sei mensilità di retribuzione.

Fortunatamente a rimediare all’assurdo di una condanna per violazione dell’immagine sproporzionata, il più delle volte, rispetto all’effettivo nocumento patrimoniale, è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza nr. 61 del 2020.

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