LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - Le proposte Asmel per la ripartenza

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03/04/2020

Signor Presidente Giuseppe CONTE,

nel dibattito sulle misure di rilancio dell'economia, che dovrebbero trovar spazio nel più volte annunciato decreto di aprile, non può mancare la voce dei Comuni.
In specie dopo l'edizione straordinaria del TG1 di sabato scorso, nel corso della quale lei ha annunciato, citiamo testualmente: Abbiamo lavorato intensamente per varare subito un provvedimento di grande urgenza e di grande impatto. Coinvolgiamo i Comuni. A loro giriamo la somma di 4,3 miliardi a valere sul Fondo di solidarietà comunale. Un anticipo del 66% che giriamo ai Comuni. Lo facciamo in anticipo rispetto alla scadenza che era prevista a maggio.
In realtà, non è stato girato proprio nulla, trattandosi di somme di spettanza dei Comuni che quest'anno sono state semplicemente anticipate di un mese. Un'anticipazione è sempre una buona notizia. Ma forse non tale da giustificare un'edizione straordinaria del TG1. Tantomeno l'annuncio di un ulteriore acconto, pari a 400 milioni, sulle stesse somme, destinato all'istituzione di un Fondo di solidarietà alimentare dal valore eminentemente simbolico, perché corrispondente a un importo medio per abitante pari a 6,7 euro. Ovvero, circa 67 euro per indigente se stimiamo cautelativamente che le persone in difficoltà rappresentino il 10% della popolazione, a fronte di un blocco senza precedenti delle attività economiche. Con ogni probabilità emergerà che si tratta di una stima troppo prudenziale.
Nel corso della trasmissione, Lei ha voluto ringraziare ANCI, la storica Associazione dei Comuni, sempre pronta a correre in soccorso del Governo di turno, per aver contribuito a confezionare un provvedimento tanto urgente e indifferibile.
Ha avuto ragione nel ringraziare perché ai Comuni è stato chiesto (democraticamente, attraverso ANCI) di anticipare 400 milioni, prelevati dallo stesso capitolo di spesa, il 1365, del Fondo di solidarietà comunale.
Confidiamo che il capitolo 1365 verrà prontamente rimpinguato con i fondi attualmente prelevati non appena varata la legge istitutiva del Fondo di solidarietà alimentare, che dovrà essere almeno quintuplicato. Se si vuole evitare il rischio che le sentinelle sul territorio come Lei ha definito i Sindaci vengano travolte da aspettative che non potranno mai soddisfare con risorse proprie.
Le feroci politiche di spending review hanno sottratto risorse dal comparto dei Comuni per oltre 8 miliardi. Ormai lo Stato Centrale non trasferisce più risorse ai Comuni. Anzi, i trasferimenti complessivi (al netto delle compensazioni dei tributi soppressi) risultano negativi. In altre parole, oggi il comparto dei Comuni finisce con il trasferire risorse allo Stato.
Infatti, per rimpinguare il Fondo di solidarietà comunale si ricorre ai rimborsi loro spettanti e dovuti per entrate venute a mancare a seguito di esenzioni, vedi prima casa, stabilite con legge dello Stato. E poiché lo Stato Centrale deve pur assolvere a funzioni perequative, invece di impegnare risorse prelevate dalla fiscalità generale, interviene su detti rimborsi sottraendo risorse a una parte dei Comuni per attribuirle ad altri, alimentando così inevitabili tensioni tra gli stessi.
Interventi per il rilancio dell'economia non possono che partire da un'inversione di rotta rispetto a politiche che hanno finora imbrigliato fino all'inverosimile le risorse e le energie provenienti dalle realtà territoriali. Dopo le recenti decisioni europee sulla sospensione di fatto delle regole del patto di stabilità è tempo di scelte forti e coraggiose per liberare risorse a favore dei territori. I cittadini eleggono i Sindaci non perché rappresentino sentinelle con le mani legate da vincoli finanziari e migliaia di lacci e lacciuoli imposti da un bigottismo normativo e da una cultura del sospetto che rappresenta la vera palla al piede del Sistema Italia, pubblico o privato che sia.
Nelle more di scelte radicali inevitabili per il superamento di un'emergenza che si manifesta sempre più nella sua gravità, nell'annunciato decreto di aprile, potrebbero già apparire interventi immediatamente cantierabili, attraverso investimenti a pronta resa con procedure già sperimentate con successo. Oltre a semplificazioni normative invocate da anni e per i quali non sono necessarie commissioni di studio.
Ci riferiamo ad esempio alla concessione di una moratoria sugli obblighi Consip. Basterebbe riportare la Centrale monopolista ai propri compiti originari basati su acquisti per le strutture Centrali dello Stato. Consip manterrebbe un perimetro d'azione in grado di sviluppare una massa critica capace di determinare benchmark di riferimento per gli altri Enti pubblici che, in forma singola o associata, sarebbero pur sempre impegnati a rispettare. Determinando, inoltre, un virtuoso confronto competitivo della committenza, grazie al quale non potranno che migliorare i risultati della propria azione.
A proposito di monopoli e di interventi a pronta resa, nessuna norma vieta che lo Stato Centrale assorba l'organico dell'ANCI. Già oggi il Bilancio dell'Associazione è caratterizzato per due terzi da commesse pubbliche e il Governo, spendendo solo l'altro terzo, potrebbe utilizzare le competenze e le professionalità che ha avuto modo di apprezzare.
Inoltre, si potrebbe intervenire prontamente sul Codice degli appalti, ormai ridotto ad un manuale di enigmistica giuridica a soluzioni multiple.
Basterebbe ripescare la proposta depositata nel 2015 da ASMEL in Commissione Lavori pubblici del Senato e rimasta lettera morta. Proponevamo di non varare un nuovo Codice, ma semplicemente di introdurre nel nostro Ordinamento le Direttive Appalti, appena varate in Europa con obbligo di recepimento.
Ci sono due modi per farlo. Il primo si chiama copy out e consiste nel copiare letteralmente le norme, scritte peraltro in italiano scorrevole e comprensibile a tutti. L'altro consiste nel riscrivere le norme nazionali nel rispetto di quelle europee. Il primo è il più semplice, trasparente e immediato. Ma cozza contro l'interesse di legulei e mandarini. In Francia, Spagna e Inghilterra hanno scelto il primo modello. In Italia il secondo, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi, sarebbe sufficiente una norma per decretarne l'abolizione e il recepimento integrale delle direttive.
Infine un investimento a pronta resa potrebbe riguardare l'anticipazione di risorse già stanziate con la recente Legge di Stabilità. Si tratta di 500 milioni di euro l'anno per 5 anni per interventi green basati sulle stesse procedure già sperimentate con successo con il decreto Crescita e che non hanno comportato residui passivi. Non solo gli investimenti green vanno nella direzione giusta, ma garantiscono ritorni di sicuro sollievo sulle entrate correnti.
2,5 miliardi sarebbero più che sufficienti per consentire la riqualificazione della pubblica illuminazione con lampade a LED e strumenti di smart city. Con benefici per le casse comunali quantificabili in almeno 600/700 milioni di euro l'anno. Si ricorda che la spesa per l'illuminazione rappresenta, per la stragrande maggioranza degli Enti, la maggiore uscita dopo i costi del personale. Per chi ha già provveduto, vi sono miriadi di interventi nell'efficientamento energetico e nelle rinnovabili. Specie nei Comuni sotto i 20mila abitanti, oltre il 90% del totale, per i quali il legislatore ha previsto da anni specifiche agevolazioni. Agevolazioni rese ad oggi inapplicabili da norme attuative appannaggio di apparati che sempre più spesso soverchiano i governanti, confezionando pacchi sulle spalle dei territori e della società civile. Non solo soldi, dunque, ma soprattutto opere di bene. Ad esempio tagliando le unghie ad apparati autoreferenziali che crescono come funghi ovunque ci sia il potere.

 

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