La sospensione del procedimento disciplinare in attesa di quello penale

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25/01/2023

a cura di M. Catalano, giudice contabile

Il tema della concorrenza tra procedimento disciplinare e quello penale nel rapporto di pubblico impiego è sempre dibattuto in dottrina e giurisprudenza.
Da un lato si afferma la necessaria separazione dei giudizi; dall’altro, specie in alcuni casi, è opportuno attendere l’accertamento compiuto dal giudice penale.
Se il principio del codice di procedura penale del 1989 (rafforzato con l’entrata in vigore della legge nr. 97 del 2001) è quello della autonomia dei procedimenti (con eccezione dell’efficacia ultra-penale della sentenza di assoluzione e di condanna a seguito di dibattimento), esigenze di celerità imporrebbero una trattazione autonoma in sede disciplinare, in attesa delle lungaggini del procedimento penale.
È quanto stabilisce l’art. 55 ter, comma 1, del TUPI che, con termini sufficientemente perentori asserisce che:
Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale.
Non vi è dubbio, però, che non sono pochi i casi in cui l’amministrazione non ha elementi sufficienti per l’esercizio dell’azione di responsabilità disciplinare; specie quando gli elementi di prova non sono stati raccolti dal datore di lavoro, ma sono stati trasmessi dal giudice penale; in questi casi una affrettata conclusione del procedimento disciplinare potrebbe portare non solo a risultati differenti (con l’assoluzione in sede penale), ma anche a sentenze di accoglimento dei ricorsi da parte dei dipendenti sanzionati.
Ecco che sempre l’art. 55 ter, al comma 1, prevede che
Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l'amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente.
In sostanza, quando l’amministrazione non ha elementi a sufficienza (specie quando gli unici elementi sono provvedimenti emessi dal giudice penale inaudita altera parte, come le ordinanze che dispongono di misure cautelari), è opportuno che il procedimento venga sospeso, per essere riattivato a seguito dell’acquisizione di tutta la documentazione.
Il pericolo, in questo caso, potrebbe essere la non tempestività del procedimento disciplinare.
Al riguardo, mentre il legislatore prevede specifici termini di decadenza per la conclusione del procedimento disciplinare, non ne prevede altrettanti per il suo inizio.
È la giurisprudenza che afferma, giustamente, che esso deve essere iniziato quanto prima possibile rispetto alla conoscenza dell’illecito.
Se, però, l’amministrazione è a conoscenza dell’illecito, e prima sospende e poi riprende, anche a distanza di anni, il procedimento disciplinare, è in re ipsa il ritardo dell’inizio dell’azione disciplinare.
In merito, con una recente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 33236/2022) si è affermato che deve essere considerata tempestiva la contestazione disciplinare che sia stata attivata una volta conosciuta la sentenza penale per essere poi sospesa in attesa della conclusione del procedimento penale.
Secondo il giudice di legittimità, innanzitutto, il procedimento disciplinare deve cominciare quando si ha una notizia piena e completa dei fatti contestati, a mente dell’art. 55 bis, comma 4, secondo cui fermo restando quanto previsto dall'articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, per le infrazioni per le quali è prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale, il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente, segnala immediatamente, e comunque entro dieci giorni, all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. L'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza….
Insomma, è la piena conoscenza il dies a quo per l’inizio del procedimento[1].
Come affermato dai giudici di legittimità, infatti
Il richiamo alla «piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare» contenuto ora nell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001 (come sostituito dall’art. 13, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 75/2015) conferma il sopra ricordato orientamento giurisprudenziale e vale a sottolineare che il termine per l’avvio del procedimento in tanto può decorrere in quanto la segnalazione pervenuta all’UPD, per il tramite del responsabile della struttura o in altro modo, consenta di dare avvio al procedimento e riguardi una notizia, per così dire, “circostanziata”, sulla base della quale sia possibile formulare una contestazione specifica e non generica, posto che la mancanza di specificità dell’atto di incolpazione minerebbe alla base l’intero procedimento. Sebbene il tenore letterale della norma sembri riferire la «piena conoscenza» alla sola acquisizione della notizia attraverso mezzi diversi dalla segnalazione ad opera del responsabile della struttura, anche il termine per la contestazione può decorrere solo qualora l’amministrazione abbia elementi sufficienti per circostanziarla: in tal senso va letto il principio secondo cui l’iniziativa disciplinare può essere ritenuta tardiva solo quando l’amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso di elementi sufficienti per procedere [2].
In definitiva, l’inizio del procedimento è legato non ad una conoscenza superficiale o incompleta, ma ad una piena conoscenza. Il termine, invece, ad una eventuale sospensione in attesa dell’ottenimento di ulteriori elementi e chiarimenti.
[1] In tema di tempestività relativa della contestazione, anche per il settore privato, si veda Cass Sez. L, Sentenza n. 16683 del 2015 secondo cui:
Occorre premettere che il principio di tempestività della contestazione disciplinare è stato descritto come pluridirezionale, nel senso che accanto alla fondamentale funzione di garantire il diritto di difesa del lavoratore, agevolato nell'addurre elementi di giustificazione a breve intervallo di tempo dall'infrazione, vi è quella di non perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, sicché esso non può essere pregiudicato neppure nel caso di fatti aventi rilievo penale (v. in particolare, nel settore del pubblico impiego Cass. n. Sez. L, Sentenza n. 7951 del 2011 e Cass. n. 4932 del 02/03/2007). Costituisce però orientamento condiviso e consolidato di questa Corte quello secondo il quale il concetto di tempestività della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, per un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti (cfr. ex multis Cass. 29480/2008, Cass. 22066/2007, Cass. 1101/2007, Cass. 14113/2006, Cass. 4435/2004).
È pacifico poi che l'immediatezza debba essere valutata con riferimento al tempo in cui i fatti sono conosciuti dal datore di lavoro, e non a quello in cui essi sono avvenuti e che la conoscenza debba tradursi nella ragionevole configurabilità dei fatti oggetto dell'inadempimento, inteso nelle sue caratteristiche oggettive, nella sua gravita e nella sua addebitabilità al lavoratore (da ultimo in proposito Cass. n. 4724 del 27/02/2014, Cass. n. 7410 del 26 marzo 2010), ammettendosi anche che il datore di lavoro possa allo scopo procedere alle preliminari necessarie verifiche (Cass. Sez. L, Sentenza n. 5546 del 08/03/2010, Sez. L, Sentenza n. 29480 del 17/12/2008).
[2] Nei medesimo termini si veda anche Cass Sez. L - , Sentenza n. 16706 del 25/06/2018 secondo cui In tema di procedimento disciplinare, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la contestazione dell'addebito dall'art. 55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, assume rilievo esclusivamente il momento in cui l'ufficio competente abbia acquisito una "notizia di infrazione" di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l'avvio al procedimento mediante la contestazione, la quale può essere ritenuta tardiva solo qualora la P.A. rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell'incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l'addebito.

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