Nelle procedure di appalto, il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è volto ad accertare «l’attendibilità e la serietà dell’offerta e l’effettiva possibilità dell’impresa di bene eseguire l’appalto alle condizioni proposte (…): la valutazione ha natura necessariamente globale e sintetica, non potendo risolversi in una parcellizzazione delle singole voci di costo ed in una “caccia all’errore” nella loro indicazione nel corpo dell’offerta, costituendo esercizio di apprezzamento tecnico, non sindacabile in giustizia se non per illogicità, manifesta irragionevolezza, arbitrarietà (...)». Il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5283 del 13/07/2021, ha dapprima ribadito che «il giudizio sull’anomalia o l’incongruità dell’offerta è espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo nei limiti indicati, senza procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità e delle singole voci, pena un’inammissibile invasione della sfera amministrativa». Successivamente il Collegio ha precisato che il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella della P.A. Invero, nel giudizio relativo alla congruità dell’offerta occorre ancora considerare che “in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, salvo il caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della quale l’offerta va considerata anomala – potendo anche un utile modesto comportare un vantaggio significativo”. Inoltre in caso di verificazione degli elementi voce inseriti nella proposta, laddove si riscontri un ampio margine di utile indicato nell’offerta, oltre che della tipologia dei rapporti stipulati con il personale «spetta all’Amministrazione verificare la congruità dell’offerta alla luce degli elementi emersi a seguito della verificazione, accertando se, pure a seguito dell’incremento dei costi, l’offerta dell’aggiudicataria sia comunque remunerativa, non potendo il giudice sostituire il suo giudizio a quello della P.A.».