La sanzione per la mancata razionalizzazione delle società partecipate. Di Marco Catalano, giudice contabile

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14/04/2022

Un nuovo spettro si aggira per le amministrazioni locali: l’applicazione della sanzione pecuniaria per mancata razionalizzazione delle partecipazioni societarie.

Si tratta, come è noto, della ipotesi disciplinata dall’art. 20, comma 7, del dlgs nr. 175 del 2016, a mente del quale:

La mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4 da parte degli enti locali comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti”. Si applica l'articolo 24, commi 5, 6, 7, 8 e 9.

Nell’ottica di una sistemazione e regolamentazione dell’ormai abnorme numero di società partecipate (si pensi al famoso rapporto Cottarelli) il legislatore del 2016, in sede di esercizio di una delega legislativa, previde l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di adottare un piano di razionalizzazione delle partecipazioni, con correlativa sanzione, art. 18, lett. m) nr. 5) della legge nr. 124 del 2015, secondo cui occorreva per gli enti locali

introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei principi di razionalizzazione e riduzione di cui al presente articolo, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti dello Stato alle   amministrazioni   che   non   ottemperano   alle disposizioni in materia

La norma che ha previsto la sanzione, il comma 7 dell’articolo 20 del dlgs nr. 175 del 2016 è rimasta quiescente fino quasi ai giorni nostri, quando si sono riscontrati interventi da parte delle sezioni giurisdizionali regionali.

Ma andiamo con ordine.

 

LA RESPONSABILITA’ RISARCITORIA

Come è risaputo, a partire da un passato ormai non tanto recente, il legislatore sta affiancando, al tradizionale risarcimento del danno devoluto alla giurisdizione della Corte dei conti anche una responsabilità sanzionatoria per la violazione di precetti ritenuti di necessaria osservanza.

Archetipo e capostipite di questa tendenza è l’art. 30, comma 15, della legge nr. 289 del 2002 che sanziona con il pagamento di una somma da 5 a 20 volte l’indennità di carica l’amministratore che contrae un mutuo per spese non di investimento.

Insomma, accanto al generale dovere di risarcire il patrimonio della pubblica amministrazione a causa di un comportamento doloso o gravemente colposo, talvolta il legislatore aggiunge il pagamento di una sanzione pecuniaria.

 

I TRATTI DELLA SANZIONE AMMINISTRATIVA PECUNIARIA ATTRIBUITI ALLA CORTE DEI CONTI PER MANCATA RAZIONALIZZAZIONE                           
Pur trattandosi di una sanzione comminata non da una autorità amministrativa, ma giurisdizionale (la Sezione Giurisdizionale regionale della Corte dei conti), la condanna inflitta non può prescindere dalla esistenza dell’elemento soggettivo (che, secondo la Corte dei conti, SSRR QM/12/2007 non può non essere la colpa grave).

Analizzando, però, la norma in commento non può non evidenziarsi qualche distonia legislativa.

Innanzitutto, la mancata perimetrazione dei soggetti tenuti al pagamento.

Mentre la maggior parte delle norme che applicano sanzioni da parte della Corte dei conti individuano i soggetti tenuti al pagamento (gli amministratori nel caso già menzionato dell’art. 30, comma 15, legge 289 del 2002; i contraenti e i beneficiari nell’ipotesi di cui all’art. 3, comma 59, della legge nr. 244 del 2007), la norma in esame lascia all’interprete il compito della individuazione dei soggetti tenuti.

E qui si inseriscono due recenti decisioni della Corte dei conti, di qui a breve esaminate.

Un altro aspetto che balza subito all’occhio è l’ammontare della sanzione, da un minimo di € 5000,00 ad un massimo di 100 volte superiore (€ 500.000,00).

Si tratta di una oscillazione tra un minimo ed un massimo forse esagerata, tenendo conto del fatto che il legislatore delegante aveva sì delegato il governo alla adozione di misure sanzionatorie, ma non aveva circoscritto l’ammontare della sanzione.

In materia di delegazione per la adozione di sanzioni amministrative, in altre ipotesi il legislatore aveva circoscritto la delega al governo stabilendo anche il minimo ed il massimo edittale.

Si prenda ad esempio la legge nr. 67 del 2014, con a quale alcuni reati sono stati depenalizzati.

L’articolo 2 della legge in commento ha previsto, per l’esercizio della delega, la adozione di

sanzioni adeguate e proporzionate  alla  gravità  della  violazione, alla reiterazione dell'illecito,  all'opera  svolta  dall'agente  per l'eliminazione o attenuazione delle  sue  conseguenze,  nonché'  alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche; prevedere come sanzione principale il pagamento di una somma  compresa  tra  un minimo di euro 5.000 ed un massimo di euro 50.000;  prevedere,  nelle ipotesi di cui alle lettere b)  e  d),  l'applicazione  di  eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella  sospensione  di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione;

            Il caso della mancata razionalizzazione, viceversa, sembra del tutto avulso dal rispetto di un limite.

Il nr. 5 dell’art. 18 della legge nr. 124 del 2015 ha infatti delegato alla adozione di sanzioni (senza specificare di che tipo) e il legislatore delegato ha colmato il vuoto del delegante inserendo una sanzione tra un minimo ed un massimo che rasenta l’assurdo, senza specificare chi, tra gli amministratori o i dipendenti, sia destinatario del precetto.

 

ESAME DELLE RECENTI DECISIONI

Come detto in premessa, di recente vi sono stati degli interventi della Corte dei conti sulla applicazione concreta della normativa.

Innanzitutto, con decreto nr. 3 del 2022 della Sezione Giurisdizionale Campania si è affermata la necessità di una rigorosa verifica dell’elemento psicologico in capo agli autori della violazione, individuati dalla Procura nel responsabile del servizio finanziario; e si è specificato che i destinatari sono gli amministratori.

Secondo il giudice campano, al contrario della prospettazione accusatoria, poiché responsabile della adozione del provvedimento è l’organo politico, il responsabile del servizio difetta di legittimazione passiva.

Testualmente:

 la responsabilità "sanzionatoria" si struttura, infatti, sulla illiceità normativamente accertata di un comportamento dal quale consegue una sanzione pecuniaria "indifferente" all'eventuale pregiudizio erariale pure ipotizzabile sicché occorre individuare la sussistenza dell'elemento soggettivo comunque necessario per l'affermazione di siffatta responsabilità che, dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, è stato indicato quam minime nella colpa grave (SS. RR. N.12/QM/2007). Sul punto, non può non osservarsi che, al di là della generale conoscenza degli adempimenti previsti dalla normativa di settore per assicurare la compiuta definizione dei procedimenti di revisione, rivestenti primario rilievo nella complessa tematica delle "partecipate", occorre indagare sui soggetti cui, in un ente locale, incombe l'obbligo di adottare uno degli atti di cui ai commi da 1 a 4, pena la comminatoria della sanzione pecuniaria di cui al comma 7 dell'art.20 del D.lgs. n.175 del 2016.

Ad avviso di questo Giudicante, esso non può che essere essenzialmente individuato nell'organo politico di vertice dell'amministrazione, cioè nel sindaco, che, ai sensi dell'art.50 del TUEL, viene definito espressamente come "organo responsabile dell'amministrazione del comune".

Di analogo tenore, escludente la responsabilità delle strutture burocratiche anche la recente sentenza nr. 32 del 2022 della Sezione Liguria, secondo la quale

Orbene, la lettura coordinata del quadro normativo fin qui tratteggiato induce il Collegio ad escludere che la norma sanzionatoria di cui all’art. 20, comma 7, del TUSP abbia tra i propri destinatari gli organi burocratici dell’ente locale e a dedurne, pertanto, che, nel caso di specie, la pretesa punitiva ivi sottesa sia stata già pienamente soddisfatta con l’irrogazione della sanzione amministrativa ai titolari degli organi di governo del Comune di Leivi ad opera della più volte citata sentenza n. 186/2021 di questa Corte.

 

CONCLUSIONI

In definitiva, la nascente giurisprudenza della Corte dei conti sulla anomala sanzione in commento, in disparte alcuni profili relativi all’eccesso di delega, si va delineando come diretta nei confronti degli amministratori, identificati quali destinatari del precetto.

Si evidenzia infine la utilità di una razionalizzazione delle società partecipate, nonché di misure di carattere direttivo direzionale da parte dei soci, visto come fonte di risparmi per il gruppo Pubblica amministrazione, come è avvenuto per il comune di Milano.

Al riguardo, dalla deliberazione Lombardia/419/2016/VSG (Relazione sui risultati conseguiti dal Piano di razionalizzazione delle società partecipate (approvato con provvedimento del Sindaco di Milano del 27 marzo 2015)) emerge come le società Milano Sport spa ed MM spa, abbiano sottoscritto un accordo per la somministrazione di mano d’opera in comune. Tanto ha consentito un risparmio del 5% (pari ad € 1 l’ora) oltre che il dimezzamento degli oneri organizzativi derivante dall'approntamento della gara. Inoltre, Milano Sport spa ha affidato altri servizi alla società MM spa per un valore di 309.000 euro nel solo 2015, opzione che ha consentito a quest’ultima di sfruttare appieno gli organici tecnici.

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